Tuesday, May 13, 2008

L'ignoranza genera una serie di afflizioni che frenano lo sviluppo spirituale dell'uomo

Denunciata prima dal Buddha, dopo il raggiungimento del «Risveglio», e successivamente da Patañjali negli Yogasûtra, avidyâ, l'ignoranza, appare come la causa di tutti mali che affliggono l'umanità; essa genera infatti, a cascata, una serie di afflizioni che impediscono all'uomo di fruire appieno della sua condizione nella scala dello sviluppo spirituale.

Ignoranza dunque della realtà autentica dell'uomo, della vita stessa e del suo significato; accecato dalle proprie personali frustrazioni, infatti, ognuno tende inevitabilmente ad attribuire alla Vita, anziché alla propria incapacità di comprenderne il senso, gli esiti infausti di aspirazioni fallimentari, «sfortune», incomprensibili crudeltà cosmiche.

Da questa limitata e distorta visione delle cose, l'ignoranza appunto, deriva l'illusione egoica: asmitâ. Quale illusione? Anzitutto confondere il nostro corpo, perituro, il nostro aspetto fisico, la nostra identità, l'appartenenza a un ceto sociale, il successo o l'insuccesso con la sola realtà rispetto alla quale misurarsi.

Non è così. Ciò che afferma la tradizione è ben diverso: ogni individuo è unico ed è la manifestazione stessa del Divino. Se fossimo costantemente consapevoli di questa verità, ogni cosa ci apparirebbe come di fatto è: infinita. A cominciare da noi stessi.

Dall'illusoria identificazione della nostra realtà autentica con un «io», e dunque dalla paura di vederlo non gratificato o sminuito, sorge l'attaccamento, râga: «poichè la vita è breve, godiamocela» - così spesso si pensa - e cerchiamo di non mollare la presa sui nostri affetti, sui nostri possedimenti, sulle idee, sui desideri...

In tal modo, gli attaccamenti generano l'illusione di poter ripetere all'infinito le esperienze piacevoli, salvo poi sperimentare la frustrazione quando ci si rende conto dell'autoinganno. Nel frattempo, mancando di un'adeguata preparazione spirituale, si sarà prodotta un'opprimente quantità di karman che si potrà smaltire solo nel tempo dell'ascesi e con ferrea volontà.

Ma c'è anche un altro elemento che deriva dall'illusione: dvesha, la repulsione. Quello che i bambini, oggi, definiscono con un'espressione assai diffusa: «Che schiiiifo...!». Forse una visione appena più aperta da parte degli educatori potrebbe spegnere sul nascere questa corsa all'accrescimento dell'ignoranza, ritoccando ciò che è un potente fattore di incatenamento agli aspetti più dolorosi della Vita.

L'esperienza spiacevole, se non è correttamente interpretata come occasione di avanzamento spirituale, rimane infatti quella che è, dunque ripetibile all'infinito senza possibilità di riscatto. Si aggiungono così altra ignoranza, illusione, paura, violenza.


Lisetta Landoni (www.yoga.it)

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