Sunday, March 25, 2012

I masnadieri

Una distesa di sabbia rossa su cui si ergono numerose piantane, una pedana al centro, una poltrona da un lato. Questo è lo scenario che si apre al pubblico de "I masnadieri" di Lavia, opera teatrale scritta verso la fine del '700 da Schiller. Nella prima scena, un dialogo tra padre e figlio, stanco e affaticato il primo, storpio ma in forsennato movimento il secondo, svela allo spettatore i presupposti della storia. Il figlio Franz, in un delirio di onnipotenza e voglia di riscatto, denigra il fratello Karl, per cui nutre un'atavica gelosia, davanti al padre e quest'ultimo dichiara che non lo potrà mai perdonare per aver infangato il buon nome della famiglia.

Karl von Moor, definito dal regista «dittatore nella sua essenza più profonda, che dominato da un forte senso di giustizia, si trascina a compiere atti ingiusti», diventa dunque il capo di una banda di criminali, con cui compie gli atti più nefasti. Lavia propone una versione rock-gotica del gruppo di masnadieri, uomini armati di pistole e chitarre, vestiti di nero con giacche in pelle e pesanti anfibi. Karl ha i capelli lunghi, lo sguardo beffardo. Affiancato da Spegelberg e un gruppo di altri uomini che gli hanno giurato fedeltà assoluta, uccide, incendia, distrugge. Non avrà pietà nel togliere la vita al vecchio padre, e alla sua amata Amalia. 

L'atmosfera gotico-grottesca non lascia mai la scena: notevole il momento in cui Franz, che attende impaziente la morte di un padre che non "crepa mai", rinchiude quest'ultimo vivo in una bara e salendoci sopra lo schiaccia mentre si proclama padrone di Moor. 

Se nel testo originale Karl alla fine si riscatta e dichiara "che non si può sognare di liberare il mondo commettendo atrocità", nell'opera di Lavia rimane una figura spietata: il padre non muore di crepacuore quando scopre che il figlio è capo dei masnadieri, Amalia non viene uccisa per loro volontà dagli uomini della banda. E' lui che preme il grilletto contro il padre, e che cerca di costringere Amalia al suicidio, ordinando che venga uccisa solo dopo che lei si rifiuta di eseguire il suo ordine. 

Si lascia la sala con un senso di tensione ed inquietudine, l'odore acre delle pistole usate in scena ed i colpi ancora nelle orecchie. Ma anche con in mente la musica, quasi un grido di disperazione: " Ho puntato sulle sonorità senza tempo della chitarra - ha dichiarato Franco Mussida, che ha composto le musiche - dalle più arcaiche e popolari alle più moderne ed inquietanti, spesso suonate in tanti modi inusuali. Altra scelta sono state le percussioni, utilizzate per dare l'idea della tribù, dell'insieme, del selvaggio, della naturalità popolare. 


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