Monday, September 24, 2012

Panama

Panama è davvero lontana, un viaggio di almeno 18 ore sull'oceano a sonnecchiare, mangiucchiare e guardare i film più improbabili. Si atterra su lingue di terra che lambiscono il mare, e su chiazze d'acqua in cui sostano in attesa decine di navi cargo che aspettano di attraversare il famoso canale. Dall'altro lato, lo skyline si riflette su un mare reso argenteo dalla luce del tramonto. Potrebbe essere New York, o Singapore, oramai questi grattacieli sono tutti simili tra loro. Quando si percorre la strada che unisce l'aeroporto alla città ci si rende tuttaviaconto che questi hanno una peculiarità rispetto ai loro simili sparsi per il mondo. Sono costruiti a ridosso dell'acqua, su lembi di terra paludosa e circondati da fanghiglia, laddove si presuppone che un tempo ci fossero le mangrovie a tenere salda la terra con le loro radici. Dove non c'è troppo fango, tra un grattacielo e l'altro sorgono casupole piccole e colorate, con panni stesi in veranda e grosse parabole rosse sui tetti. Chissà se quei panni si asciugheranno mai a dovere, con questa umidità. 
Le grandi arterie che collegano la città ricordano indubbiamente gli Stati Uniti, la cui presenza culturale nonostante l'oramai limitato potere politico è ancora percepibile. Basti pensare che una delle vie si chiama Ave. Israel, nome bizzarro per un luogo che sta dall'altra parte non del Mediterraneo, ma proprio del globo.Da domani cercherò di capirci qualcosa in più. Per ora con 7 ore di fuso orario e 18 di viaggio alle spalle, ingoio la mia pasticca di melatonina, e mi metto a letto.

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